Senza la pretesa di conferirsi chissà quali particolari doti, Jorge Amado è un turista molto umile che si lascia ammaliare spesso e volentieri. La “seduzione del viaggio” sta tutta nel “partire e capire e amare il paesaggio della terra e della gente che incontreremo” e nel raccogliere le sue impressioni parte dall’idea di “scrivere un libro da modernista, più deciso a scrivere che a viaggiare”. Così, le Americhe di Jorge Amado cominciano da Porto Alegre e già lì si intuisce che sarà un tour intenso e colorito: “Alla fine ci fu una cena collettiva al ristorante. Fuori era autunno. Arrivarono telegrammi, una lettera di un lettore sconosciuto. Non ci furono discorsi. Intorno alla democratica tavola c’erano signore e poeti, scrittori e giornalisti, pittori e amici, qualcuno mi portò il messaggio di una donna: che a Porto Alegre c’era gente cui piacevo, che mi considerava un amico. Un gruppetto di lettrici si affacciò all’entrata del ristorante per salutarmi. In seguito andammo a una mostra di quadri. Là fuori il meraviglioso autunno di Porto Alegre”. Lo sguardo affamato di novità comprende Considerazioni sull’abitare, Stazioni dalla rumorosa allegria, Spiagge e colline, Chiacchiere al freddo con vomito e neve, e dovrebbero essere sufficienti i titoli dei capitoli a rendere l’idea dello spirito con cui Jorge Amado osserva, annota e riporta ogni singolo passaggio: nelle sue descrizioni i compagni di navigazione diventano quasi personaggi di un romanzo e nella meraviglia per la Cordigliera delle Ande si aprono pagine di grande liricità (“L’impressione esatta che ci dà la bellezza che viene dalle montagne di tutti i colori, dai fiumi che scorrono a cascata, è che siamo in un paese da fiaba, un paese dove possono svolgersi tutte le storie antiche di giganti e mostri che il passato ha ingoiato. È terribile, la bellezza è anche cattiva, a volte spaventa, umilia e domina”), poi rinnovate di fronte all’oceano (“Tu vai sul mare camminando, sei nave, sei acqua, sei pesce, il tuo volto non c’è più, sei solo oceano”). Amado riesce a focalizzare le peculiarità di ogni paese, Argentina, Cile, Perù Ecuador, Uruguay (dove per esempio, illustra il legame tra uomo e cavallo) nonché le differenze e le distanze tra le diverse latitudini del Brasile, comprese alcune distinzioni territoriali in cui evidenzia che “il Nordeste è terra di romanzieri, mentre il Sud è terra di amabili poeti e lucidi saggisti”. Con l’esplicita vocazione a “partire e capire e amare il paesaggio della terra della gente che incontreremo”, il meglio delle sue cronache itineranti arriva nel decantare i valori e l’incanto degli agglomerati urbani di Estância, Montevideo, Lima, Chancay, Mendoza. La “descrizione impossibile di una città” diventa palpabile a Buenos Aires dove “si discute di tutta l’America” e “anche nelle strade illuminate c’è mistero. Anche nel centro di una grande città c’è una vita misteriosa, sensuale e dolorosa” ed è nei contorni di quelle ombre che spesso i silenzi diventano altrettanto determinanti delle parole finché Jorge Amado ammette che “non si riesce a scrivere di quello che si ama”. Il resoconto è intervallato da un’irregolare corrispondenza e se è vero che “il turista non ha il coraggio di raccontare le sue delusioni”, bisogna aggiungere che In giro per le Americhe di Jorge Amado è anche un’introduzione preliminare alla letteratura (e all’editoria) latinoamericana ed è in quel momento, ovvero quando le impressioni si trasformano in scrittura, che “per un momento smettiamo di essere turisti” e allora diventa importante, anzi fondamentale, anche un rinoceronte che non c’è. È un passaggio singolare, ma condensa tutta la magia di In giro per le Americhe che resta un libro piccolo, arguto e molto prezioso.
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