giovedì 23 novembre 2017

Geoff Dyer

Un’altra formidabile giornata per mare è un reportage insolito anche per Geoff Dyer, scrittore curioso e mai spaventato dal trovarsi disorientato o fuori luogo. Solo che una portaerei americana in servizio nel ventunesimo secolo è un luogo irto di ostacoli, una struttura metallica sospesa tra mare e cielo, inattaccabile e incomprensibile ai più. Si capisce subito che Geoff Dyer, arrivato sulla USS George Bush inseguendo un sogno infantile, non è nel suo elemento: brancola (letteralmente) nel buio e si aggira a fatica negli spazi angusti della nave che, per quanto enorme, non consente alcuna libertà di movimento, essendo “un labirinto tridimensionale di passaggi, scali e portelli”. Il processo di ambientazione prevede molta pazienza e la sopportazione dei limiti delle imposizioni della vita militare e delle particolari condizioni della routine a bordo. Geoff Dyer ammette: “Ho passato il resto del tempo sulla portaerei a schivare e scansarmi o, più esattamente, a scansarmi e chinarmi”. La portaerei è un’altra galassia. E’isolata, autoreferente, claustrofobica, anche se è una città che galleggia nell’oceano. Quello che succede è solo lì, nel presente e nell’immediato annunciato ogni mattina proprio dallo slogan Un’altra formidabile giornata per mare. E’ sempre in emergenza perché ospita mostruosità tecnologiche e tonnellate d’acciaio sempre in movimento e, va da sé, è una polveriera. E’ difficile viverci dentro, perché gli spazi sono limitati e dove non sono limitati sono i posti più pericolosi del mondo, il deposito delle armi, l’hangar e soprattutto il ponte di volo, dato che “non solo la portaerei era un altro mondo: il ponte di volo era un mondo a parte rispetto al resto delle portaerei. E tutto quanto succedeva negli altri punti della portaerei aveva un significato e un’importanza solo rispetto a quello che succedeva lì. Tolti il ponte di volo e gli aerei non restava che una nave enorme”. Come sia finito e cosa ci faccia Geoff Dyer sulla portaerei non è chiaro, neanche quando prova a spiegarlo nel dettaglio: “Da piccolo ho amato la guerra e i soldati. Da studente, ormai libero da quell’infatuazione sanissima, la mia vita ha cominciato a prendere il contrario di una piega militare nel senso che, grazie a una combinazione di ambizione passiva e di fortuna, sono diventato, come dicono gli adulti, capo di me stesso. Liberato dalla catena di comando dell’ufficio, ho acquisito uno strano genere di autodisciplina, del tutto simile all’autoindulgenza, che è diventa una seconda natura. Ma nei pomeriggi in cui non riuscivo a scrivere e nelle sere in cui non sentivo nessun obbligo a provarci, ho letto sempre di più sulle forze armate, accrescendo il fascino per un mondo che era l’esatto opposto del mio”. La portaerei diventa un’occasione per parlare di se stesso attraverso un filtro singolare, “un regno di poesia accessibile solo a chi ha una visione del mondo basata sulla tecnologia, il sapere e il calcolo anziché sulla meraviglia stupefatta”. Geoff Dyer, per quanto impacciato, se la cava con una congrua dose di ironia e questo traspare benissimo nella parte conclusiva delle sue Cronache da una portaerei, quando ormai sta per ripartire: “Insomma, eccomi lì, un turista con il taccuino, un antropologo marino i cui dati si mischiavano in modo così totale e distorto agli strumenti per procurarseli che probabilmente non avevano alcun valore come dati ma solo come ricordo o come raccolta di istantanee di una vacanza senza macchina fotografica”. Il suo bilancio è onesto e sincero nel valutare Un’altra formidabile giornata per mare: in fondo è un coraggioso tentativo di comprendere una realtà complicata e spigolosa, ma i risultati conseguenti, tutto sommato gradevoli e interessanti, sono anche abbastanza relativi.

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