Un’altra
formidabile giornata per mare è un reportage insolito anche per
Geoff Dyer, scrittore curioso e mai spaventato dal trovarsi
disorientato o fuori luogo. Solo che una portaerei americana in
servizio nel ventunesimo secolo è un luogo irto di ostacoli, una
struttura metallica sospesa tra mare e cielo, inattaccabile e
incomprensibile ai più. Si capisce subito che Geoff Dyer, arrivato
sulla USS George Bush inseguendo un sogno infantile, non è
nel suo elemento: brancola (letteralmente) nel buio e si aggira a
fatica negli spazi angusti della nave che, per quanto enorme, non
consente alcuna libertà di movimento, essendo “un labirinto
tridimensionale di passaggi, scali e portelli”. Il processo di
ambientazione prevede molta pazienza e la sopportazione dei limiti
delle imposizioni della vita militare e delle particolari condizioni
della routine a bordo. Geoff Dyer ammette: “Ho passato il resto del
tempo sulla portaerei a schivare e scansarmi o, più esattamente, a
scansarmi e chinarmi”. La portaerei è un’altra galassia.
E’isolata, autoreferente, claustrofobica, anche se è una città
che galleggia nell’oceano. Quello che succede è solo lì, nel
presente e nell’immediato annunciato ogni mattina proprio dallo
slogan Un’altra formidabile giornata per mare. E’ sempre
in emergenza perché ospita mostruosità tecnologiche e tonnellate
d’acciaio sempre in movimento e, va da sé, è una polveriera. E’
difficile viverci dentro, perché gli spazi sono limitati e dove non
sono limitati sono i posti più pericolosi del mondo, il deposito
delle armi, l’hangar e soprattutto il ponte di volo, dato che “non
solo la portaerei era un altro mondo: il ponte di volo era un mondo a
parte rispetto al resto delle portaerei. E tutto quanto succedeva
negli altri punti della portaerei aveva un significato e
un’importanza solo rispetto a quello che succedeva lì. Tolti il
ponte di volo e gli aerei non restava che una nave enorme”. Come
sia finito e cosa ci faccia Geoff Dyer sulla portaerei non è chiaro,
neanche quando prova a spiegarlo nel dettaglio: “Da piccolo ho
amato la guerra e i soldati. Da studente, ormai libero da
quell’infatuazione sanissima, la mia vita ha cominciato a prendere
il contrario di una piega militare nel senso che, grazie a una
combinazione di ambizione passiva e di fortuna, sono diventato, come
dicono gli adulti, capo di me stesso. Liberato dalla catena di
comando dell’ufficio, ho acquisito uno strano genere di
autodisciplina, del tutto simile all’autoindulgenza, che è diventa
una seconda natura. Ma nei pomeriggi in cui non riuscivo a scrivere e
nelle sere in cui non sentivo nessun obbligo a provarci, ho letto
sempre di più sulle forze armate, accrescendo il fascino per un
mondo che era l’esatto opposto del mio”. La portaerei diventa
un’occasione per parlare di se stesso attraverso un filtro
singolare, “un regno di poesia accessibile solo a chi ha una
visione del mondo basata sulla tecnologia, il sapere e il calcolo
anziché sulla meraviglia stupefatta”. Geoff Dyer, per quanto
impacciato, se la cava con una congrua dose di ironia e questo
traspare benissimo nella parte conclusiva delle sue Cronache da
una portaerei, quando ormai sta per ripartire: “Insomma, eccomi
lì, un turista con il taccuino, un antropologo marino i cui dati si
mischiavano in modo così totale e distorto agli strumenti per
procurarseli che probabilmente non avevano alcun valore come dati ma
solo come ricordo o come raccolta di istantanee di una vacanza senza
macchina fotografica”. Il suo bilancio è onesto e sincero nel
valutare Un’altra formidabile giornata per mare: in fondo è
un coraggioso tentativo di comprendere una realtà complicata e
spigolosa, ma i risultati conseguenti, tutto sommato gradevoli e
interessanti, sono anche abbastanza relativi.
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