venerdì 17 novembre 2017

Derek Raymond

Nella personale vicenda di Derek Raymond, eccellente scrittore e straordinario outsider, Quando cala la nebbia rossa ha un valore e un sapore del tutto particolari perché è l’ultimo romanzo a cui ha lavorato e che aveva finito soltanto qualche mese prima della sua scomparsa. Un finale di partita convulso in cui si ritrova tutto il disastrato paesaggio umano caro a Derek Raymond, a partire dagli sbirri della Factory e dal loro universo senza speranza. L’aspetto poliziesco, nonostante l’intensità della trama che coinvolge i servizi segreti di mezzo mondo, tutti i bassifondi della polizia e dell’umanità londinese, scivola episodio dopo episodio, battuta dopo battuta (e ci sono dialoghi che bruciano come la canna di un revolver) in secondo piano, come se fosse una traccia da cui partire piuttosto che un punto d’arrivo. Tutto comincia con un furto che tanto banale non è trattandosi di un blocco di passaporti britannici nuovi di zecca. Il loro valore, piuttosto elevato, non è niente confronto al vaso di Pandora che il furto scoperchia e da cui salta fuori una congregazione internazionale di spie sulle tracce di un intero arsenale, ivi comprese un paio di testate nucleari. Sarà un piccolo delinquente, uno dei tipici perdenti tratteggiati da Derek Raymond, a dover trovare il bandolo dell’apocalittica matassa. A parte un collegamento immediato con Aprile è il più crudele dei mesi, la firma di Derek Raymond è una sorta di garanzia assoluta: una scrittura tagliente, spietata, a tratti persino dolorosa che mette il genere umano di fronte alla sua disperazione, visto che “se si venisse a sapere come stanno le cose, correrebbero tutti a nascondersi nei bunker, sempre che ce ne siano”. Senza mezzi termini, senza alcuna concessione ed è proprio quest’onestà il tratto principale del suo stile, tra l’altro lirico e preciso, che consente di toccare con mano la disperazione di Gust, ovvero del protagonista di Quando cala la nebbia rossa. Delinquente tanto infinitesimale e irrilevante quanto irriducibile, Gust dovrebbe diventare il perfetto capro espiatorio di un complotto stratificato, le cui finalità, come in ogni complotto che si rispetti, sembrano non aver data di scadenza. Gust è la vittima sacrificale che va bene a tutti perché non conta nulla, se sbaglia respiro finisce di nuovo in galera ed è già bruciato in partenza. Per il ruolo che gli è stato assegnato, non serve altro, ma, come ha insegnato qualcuno, essere perdenti è un lavoro a tempo pieno, e allora Gust si ribella cercando di salvare il futuro del mondo soltanto perché, intanto, deve salvarsi il suo, di destino. E’ un loser che non ha nulla da perdere e provoca una reazione a catena in cui Derek Raymond sembra persino divertirsi a posare le statuine dei suoi presepi: psicopatici, disillusi, folli, coraggiosi, tragici esseri umani che si trovano a fare sempre le stesse, identiche mosse da una parte o dall’altra di una trincea chiamata vita e che Quando cala la nebbia rossa possono soltanto immaginare di limitare i danni. Il suo mondo, per l’ultima volta.

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