Nella
personale vicenda di Derek Raymond, eccellente scrittore e
straordinario outsider, Quando cala la nebbia rossa ha un
valore e un sapore del tutto particolari perché è l’ultimo
romanzo a cui ha lavorato e che aveva finito soltanto qualche mese
prima della sua scomparsa. Un finale di partita convulso in cui si
ritrova tutto il disastrato paesaggio umano caro a Derek Raymond, a
partire dagli sbirri della Factory e dal loro universo senza
speranza. L’aspetto poliziesco, nonostante l’intensità della
trama che coinvolge i servizi segreti di mezzo mondo, tutti i
bassifondi della polizia e dell’umanità londinese, scivola
episodio dopo episodio, battuta dopo battuta (e ci sono dialoghi che
bruciano come la canna di un revolver) in secondo piano, come se
fosse una traccia da cui partire piuttosto che un punto d’arrivo.
Tutto comincia con un furto che tanto banale non è trattandosi di un
blocco di passaporti britannici nuovi di zecca. Il loro valore,
piuttosto elevato, non è niente confronto al vaso di Pandora che il
furto scoperchia e da cui salta fuori una congregazione
internazionale di spie sulle tracce di un intero arsenale, ivi
comprese un paio di testate nucleari. Sarà un piccolo delinquente,
uno dei tipici perdenti tratteggiati da Derek Raymond, a dover
trovare il bandolo dell’apocalittica matassa. A parte un
collegamento immediato con Aprile è il più crudele dei mesi,
la firma di Derek Raymond è una sorta di garanzia assoluta: una
scrittura tagliente, spietata, a tratti persino dolorosa che mette il
genere umano di fronte alla sua disperazione, visto che “se si
venisse a sapere come stanno le cose, correrebbero tutti a
nascondersi nei bunker, sempre che ce ne siano”. Senza mezzi
termini, senza alcuna concessione ed è proprio quest’onestà il
tratto principale del suo stile, tra l’altro lirico e preciso, che
consente di toccare con mano la disperazione di Gust, ovvero del
protagonista di Quando cala la nebbia rossa. Delinquente tanto
infinitesimale e irrilevante quanto irriducibile, Gust dovrebbe
diventare il perfetto capro espiatorio di un complotto stratificato,
le cui finalità, come in ogni complotto che si rispetti, sembrano
non aver data di scadenza. Gust è la vittima sacrificale che va bene
a tutti perché non conta nulla, se sbaglia respiro finisce di nuovo
in galera ed è già bruciato in partenza. Per il ruolo che gli è
stato assegnato, non serve altro, ma, come ha insegnato qualcuno,
essere perdenti è un lavoro a tempo pieno, e allora Gust si ribella
cercando di salvare il futuro del mondo soltanto perché, intanto,
deve salvarsi il suo, di destino. E’ un loser che non ha nulla da
perdere e provoca una reazione a catena in cui Derek Raymond sembra
persino divertirsi a posare le statuine dei suoi presepi:
psicopatici, disillusi, folli, coraggiosi, tragici esseri umani che
si trovano a fare sempre le stesse, identiche mosse da una parte o
dall’altra di una trincea chiamata vita e che Quando cala la
nebbia rossa possono soltanto immaginare di limitare i danni. Il
suo mondo, per l’ultima volta.
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