martedì 12 dicembre 2017

Derek Raymond

E’ difficile fare il sergente alla A14 (che non è un’autostrada, ma la sezione Casi Irrisolti della polizia di Chelsea) quando si ha una moglie pazza ricoverata in un manicomio perché ha ucciso la figlia, non si sopportano i propri superiori (“La mia non è mancanza di rispetto, ma di pazienza. Il mio guaio è che non riesco a sopportare gli idioti. Mi preoccupo della giustizia, non dei gradi”) ma soprattutto, non si cerca la giustizia, ma la verità. Una sottile distinzione che, in Aprile è il più crudele dei mesi, viene sviscerata da Derek Raymond con un’aderenza totale al suo protagonista: il noir non è inteso soltanto come ambientazione, atmosfera, stile o genere, ma è proprio un modo per vedere la vita, o il dramma della vita. “Dove vado io, là vanno i fantasmi. Io vado là dove si trova il male”, dice il tormentato sergente della A14 ed è un riflesso spontaneo che si traduce in quello che sostiene lo stesso Derek Raymond ovvero che “la funzione del romanzo noir è di impedire alle persone di dimenticare l'orrore che regna”. Questa dura e nobile definizione (è uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare) trova una sua logica in Aprile è il più crudele dei mesi. Al nostro sergente della A14 viene recapitato un caso che comincia da quello che rimane di un cadavere: cinque sacchetti di plastica che contengono, adeguatamente sezionato e bollito, un corpo umano. La prima reazione è, a sua volta, un tentativo di individuare un senso, difficile se non impossibile da trovare davanti a quello scempio: “Cominciai a immedesimarmi nell’assassino. Pensavo: sono pazzo. Sì, ma dobbiamo tutti sforzarci di sembrare normali”. Da quel macabro ritrovamento si dipana un intreccio che comprende malavitosi della peggior specie, agenti segreti e doppiogiochisti di professione, politici corrotti e tutta una fauna ambigua che è sempre pronta a tirare il grilletto. Dal canto suo, Derek Raymond non spreca una riga, una parola. I personaggi sono chiari, evidenti, dai contorni netti e precisi, a partire dall’autoritratto del sergente dell’A14: “Le mie indagini le conduco a modo mio, è il grande vantaggio di lavorare da solo. E se la cosa non garba ai miei superiori, possono pure cacciarmi. Probabilmente l’avrebbero già fatto, solo che non sono così facile da rimpiazzare”. I dialoghi hanno la forza bruciante di chi sa gestire la scrittura con naturalezza (“Perché te la stai prendendo come me? Perché hai abitudini pericolose e sei stato dentro per omicidio. Hai strangolato un uomo, e ti sto controllando com’è prassi, ma anche perché la tua faccia potrebbe essere proprio il pezzo mancante del puzzle di una nuova indagine che sto svolgendo”) e senza tanti patemi stilistici. La storia è una rete infinita di intrighi dove le psicologie sono determinanti almeno quanto i paesaggi perché Londra e i sobborghi sono (come in tutti i suoi romanzi) uno scenario perfetto e tenebroso. Aprile è il più crudele dei mesi è un ottimo biglietto da visita per un autore che ha il merito di aver elevato il noir, o di essersi abbassato fino a sporcarsi le mani: in entrambi i casi, un bel coraggio.

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