La mappa con cui si orienta Hans Magnus Enzensberger segue l’elemento naturale delle correnti e dei venti che, da secoli e nei secoli, si sovrappone ai tracciati delle migrazioni. L’indicazione va un po’ oltre le coordinate geografiche, che è sempre utile ricordare, e assume un significativo aspetto simbolico nel confronto tra l’ancestrale vocazione al viaggio perché “la condizione normale dell’atmosfera è la turbolenza. Lo stesso vale per l’insediamento degli uomini sulla terra”. Per decifrare La grande migrazione è necessario superare i luoghi comuni dell’urgenza e attenersi a un approfondimento storico, visto che i flussi migratori non sono una novità di questo o del ventesimo secolo. La sintesi di Enzensberger parte da una constatazione che spesso viene trascurata: alla fonte di ogni partenza, a tutte le latitudini, ci sono “movimenti di fuga che sarebbe cinico chiamare volontari”. Guerre, carestie, persecuzioni o il semplice miraggio di una vita più dignitosa dato che “nessuno emigra senza una promessa” conducono ad affrontare gli imprevisti e i pericoli di vere e proprie odissee che non finiscono una volta giunte a destinazione. L’approdo finale è soltanto il punto di non ritorno di un’evoluzione incompiuta, come specifica con estrema precisione lo stesso Enzensberger: “I grandi movimenti migratori portano sempre a lotte per la ripartizione del territorio. Sono questi conflitti inevitabili che il sentimento nazionale preferisce interpretare come se la lotta riguardasse non le risorse materiali, quanto piuttosto quelle immaginarie. Allora si combatte per la differenza tra autoconnotazione e connotazione attribuita dagli altri, un campo questo, che offre alla demagogia possibilità di sviluppo ideali”. Lo sviluppo di “un particolare desiderio di paura” pare innato nelle emozioni che La grande migrazione suscita e anche in questo caso Enzensberger è molto distaccato nel far notare che “è possibile che anticipare il panico serva ad immunizzare; ha un effetto simile a quello di una vaccinazione psichica. In ogni caso non produce alcun tentativo di soluzione”. Con la stessa scrupolosità, fa notare che la prima e fondamentale discriminazione rimane quella economica perché “dove il conto in banca è a posto, l’odio per gli stranieri svanisce come per miracolo. La palma in questo senso spetta ai banchieri che riciclano il loro denaro. È gente che non conosce più razze ed è superiore a ogni nazionalismo. Presumibilmente sono gli unici al mondo ad essere alieni da ogni pregiudizio. Gli stranieri sono tanto più stranieri quanto sono più poveri”. Su questo Enzensberger non si fa illusioni e ammette che “la società multiculturale resterà un confuso slogan sino a quando saranno considerate tabù le difficoltà che il concetto pone ma non chiarisce”. D’altra parte, anche con La grande migrazione in corso va cercato quel delicato equilibrio, quella condizione tale “che ognuno possa esprimere ciò che pensa del potere dello Stato o del buon Dio senza essere torturato o minacciato di morte; che divergenze di opinione siano risolte in tribunale e non attraverso la vendetta di sangue; che le donne possano muoversi liberamente e non siano costrette a farsi vendere o mutilare; che si possa attraversare la strada senza incappare nelle raffiche di mitra di una soldatesca impazzita: tutto questo non è solo gradevole, ma irrinunciabile. Ovunque al mondo esistono persone, e sono presumibilmente la maggioranza, che auspicano tali condizioni e che sono pronte a difenderle dove esistono. Senza dare troppo spazio all’enfasi, possiamo dire che si tratta del minimo di civiltà. Nella storia dell’umanità questo minimo è stato raggiunto solo eccezionalmente e in maniera provvisoria. È fragile e facilmente vulnerabile. Chi lo vuole proteggere da contestazioni esterne, si trova di fronte a un dilemma. Quanto più tenacemente una civiltà si difende da una minaccia esterna, quanto più si chiude in se stessa, tanto meno alla fine ha da difendere. Quanto ai barbari, non è necessario aspettarli davanti alle porte della città. Sono qui da sempre”. È utile saperlo, La grande migrazione ha molti limiti, ma non tutti.
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