domenica 24 febbraio 2019

Robert Louis Stevenson

Qualsiasi libro che vi dice cosa dovete fare o cosa non dovete fare con la scrittura va usato per quello che è, ovvero carta sprecata. La scrittura è un’arte talmente libera, personale e complessa che ognuno deve goderne e/o soffrirne a seconda delle proprie inclinazioni e seguendo la propria identità. Certo, la formazione dipende da mille variabili, non ultima quella dell’altra metà della scrittura, la lettura, a cui questi cinque saggi, ben raccolti da Francesca Frigerio e con un’utilissima postfazione di Clotilde De Stasio, ritornano con frequenza regolare. “Il dono della lettura”, come l’ha chiamato Stevenson, “non è cosa comune né viene sempre compreso nel modo giusto. Consiste, in primo luogo, in un grandissimo attributo dell’intelletto, una sorta di grazia libera, lo definirei, grazie alla quale un uomo si rende conto di non aver mai ragione fino in fondo e che le persone le cui opinioni differiscono dalle sue non hanno mai del tutto torto”. È su questa granitica base, la lettura prima di tutto, che un grande narratore come Stevenson dissemina poi con generosità dozzine di suggerimenti, di idee, di proposte, forse persino di regole su come affrontare la scrittura. Una vera e propria panoplia che comprende l’essenza della trama (“L’intreccio, dunque, o disegno d’insieme: un intreccio che sia al tempo stesso d’immediata percezione e di grande rigore logico, un tessuto elegante e ricco di significato: questo è lo stile, questo è il fondamento dell’arte letteraria”), dell’ambientazione (“L’autore deve conoscere il suo paese, reale o immaginario che sia, come il palmo della sua mano, le distanze, i punti della bussola, dove sorge il sole, le fasi della luna, tutto dev’essere preciso fino al dettaglio più minuto”), del ritmo (“In letteratura, ogni frase è costruita con i suoni, così come, in musica, ogni frase consiste di note. Un suono suggerisce l’altro, lo rieccheggia, lo evoca, si armonizza con lui e l’abilità di usare correttamente queste concordanze fonetiche è la vera abilità di chi fa letteratura”) e della precisione (“Esiste un unico modo per narrare qualcosa, qualsiasi cosa, con abilità, ed esso consiste nell’essere precisi”). La bellezza di questa raccolta di saggi è che le lezioni di Stevenson possono essere interpretate come attrezzi per consolidare l’arte della lettura, usandole come una mappa per orientarsi tra temi incompiuti e verità dette in modo non pertinente, tra voci afone e pagine imperfette, in cerca di quella sintesi che fa uno stile, visto che “delle opere d’arte, però, si può dire poco a parole: la loro influenza è profonda e silenziosa, come quella della natura; ci modellano con un semplice tocco, ci abbeveriamo ad esse come una fonte e ne veniamo ristorati, senza capire come”. Indagare un po’ serve, e parecchio, soprattutto quando si parla di letteratura perché come scrive Stevenson in una breve e limpida apologia della lettura, “i libri che esercitano l’influenza più grande, e più vera, sono quelli di narrativa. Non vincolano il lettore a un dogma, che in seguito potrebbe rivelarsi inaccurato né pretendono di impartirgli una lezione, della quale poi bisogna dimenticarsi. Essi non fanno che ripetere, riformulare, chiarire le lezioni della vita; ci svincolano dalla compagnia esclusiva del nostro io, ci obbligano a far conoscenza con altre persone e ci mostrano, non nel modo in cui potremmo vederla da soli, ma con un notevole slittamento di prospettiva, un’intera rete di esperienze, e quell’ego mostruoso, divorante, che è il nostro essere, viene, per una volta, messo in disparte”. Indiscutibile. Diffidate dai manuali per aspiranti scrittori. Quello che c’è da sapere, sulla lettura e sulla scrittura, è tutto qui.

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