martedì 12 febbraio 2019

Hanif Kureishi

Karim Amir è un ragazzo, figlio della piccola borghesia della periferia meridionale di Londra. Una vita che trascorre lenta, tra un padre impiegato parastatale improvvisatosi buddista e una madre delusa e quasi abulica, più tutto un viavai di amicizie e parentele sulle quali è imperniata gran parte della struttura narrativa. Per Karim si tratta quindi di organizzare la sua stagione di amori e di muovere i primi passi verso il mondo nella promiscuità sociale e sessuale dei sobborghi londinesi. Parecchi e stravaganti i personaggi che Karim troverà sul suo cammino, a partire da Eva, intraprendente libera pensatrice che va a vivere con suo padre, Changez, martio in un matrimonio imposto, che, rifiutato dalla moglie se la spassa con una prostituta orientale, e Charlie archetipo della rockstar con il quale Karim comincia a godere delle prime iniziazioni sessuali, uomini o donne che siano, perché a suo personale giudizio “sentivo che non avrei potuto scegliere senza che mi si spezzasse il cuore, come dover scegliere tra i Beatles e i Rolling Stones”. Lo spostamento dell’azione nella City accelera i tempi di reazione nei rapporti con Karim che, una volta abbandonati gli studi, si dedicherà a traffici teatrali alternativi (prima con una rielaborazione de Il libro della giungla, citazione certamente non causale, e poi con una rappresentazione di teatro d’avanguardia) lasciandosi trasportare in un mondo in cui soldi, droga e artisti viaggiano alla stessa (elevate) velocità moltiplicando e complicando le relazioni fino al sintomatico annuncio del matrimonio tra Eva e il Budda delle periferie. Non è una trama bene definita ma piuttosto un intreccio di rapporti, a volte puramente fisici, spesso più complessi, comunque sempre coinvolgenti che permettono a Hanif Kureishi (che, va ricordato, è stato sceneggiatore di My Beautiful Laundrette e Sammy e Rosie vannno a letto) di proseguire la sua ricerca antropologica portando alla luce tutta una progenie di outsider fatta di immigrati pakistani, inglesi delusi, skinhead e teppisti, attori underground e militanti comunisti, in un’Inghilterra che (la Thatcher doveva ancora emergere dall’inferno) sperava tempi migliori. E, dopo tanti personaggi sotto le zero, Il Budda delle periferie ha il pregio di far conoscere un autore, o un uomo, che non ha esitazioni né timori a dichiarare che “nulla di ciò che è umano mi era estraneo”, sporcandosi le mani nei negozi che gli immigrati pakistani mettono in piedi lavorandoci di notte dopo una giornata passata in ufficio, nei cottage di periferia così come nei grattacieli di New York. Con lui, qualcuno che, nonostante la confusione, sentimentale ed esistenziale, ha qualche prospettiva in più dalla vita che non conteggiare scopate e misurare le quotidiane dosi. Non è, come si potrebbe pensare, un’osservazione distaccata o magari, visti i precedenti, colta con occhio cinematografico: Hanif Kureishi utilizza un linguaggio semplice e diretto, denso di immagini che condensano ne Il Budda delle periferie le misere aspettative e le folli speranze di una gioventù sbandata, priva di ideali ma non per questo senza identità. Una scrittura dal ritmo spigliato, con una sottile patina di ironia che non può non ricordare le liriche di Elvis Costello. E infatti Il Budda delle periferie è un libro importante perché fotografa con ricchezza di colori il momento di passaggio tra due ere musicali, siamo sul finire degli anni sessanta, che dalla atmosfere psichedeliche e sognanti di Dylan di Positively Four Street, dei Soft Machine, della Third Ear Band (per i figli) e dallo swing di Glenn Miller, Count Basie e Louis Armstrong (per madri e padri) passa bruscamente alla carica ritmica e verbale dei Clash, degli Adverts e dei Pretenders. Anche in questo l’esaltazione della necessità del cambiamento (dall’adolescenza alla gioventù, dalla periferia al centro, dalle prolissità psichedeliche alla violenta sintesi del punk), come gusto per lo sconosciuto e come spirito d’avventura rendeva Il Budda delle periferie atipico per i tempi, così come per oggi.

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