martedì 24 ottobre 2017

Anthony Burgess

Pubblicato nello stesso anno di Arancia meccanica (1962), Il seme inquieto è un tassello fondamentale e profetico delle visioni, perché di questo si tratta, di Anthony Burgess. L’azione si svolge in un futuro dove l’esplosione demografica ha costretto le autorità ad un rigidissimo controllo delle nascite e al razionamento dei cibi e delle bevande. Tutto ciò in cambio di una stabilità geopolitica e di un mondo senza eventi bellici. Una Londra cupa e cresciuta in verticale, e almeno dal punto di vista architettonico non siamo distanti da come in effetti si è sviluppata, è l’epicentro dell’azione fino a quando la situazione non si ribalta: la fame non è un fenomeno che le variabili politici possono controllare. Scoppia l’inevitabile caos, tra disordini e cannibalismo, orge e manovre di palazzo fino a quando, in cerca di un nuovo ordine (che, si suppone, deve essere mondiale) si giunge alla creazione di rudimentali milizie, poi di un esercito, di più eserciti i cui destini sono chiarissimi: “Un esercito, essendo in primo luogo un’organizzazione votata all'omicidio di massa, non può certo farsi condizionare da scrupoli etici. Deve tenere sgombre le arterie stradali per garantire il traffico, sangue della nazione; tutelare i rifornimenti idrici; mantener bene illuminate le vie principali: strade secondarie e vicoli dovranno arrangiarsi. Nessun dubbio, niente domande”. Sono invece tantissime le questioni che il crescendo, a tratti barocco, con cui Anthony Burgess delinea Il seme inquieto lascia sul terreno, oggi più attuali di quarant'anni fa, proprio a partire dalla natura dell’esercito che è la causa, non l’effetto come i libri di storia vorrebbero insegnarci: “Di qui a poco saranno in tanti ad aver paura, amico, e tu fra loro, oserei dire. Ma è ovvio che ci sarà una guerra. Non perché qualcuno la voglia, naturalmente, ma perché c'è un esercito. Un esercito qua e un esercito là ed eserciti a destra e a manca. Gli eserciti sono fatti per la guerra e la guerra è fatta per gli eserciti. Mica ci vuol tanto a capirlo”. Quello che Il seme inquieto comprende e illustra, comincia da un’acuta rivisitazione dei temi orwelliani: il potere politico che resiste ad ogni ribaltamento di fronte, i temi dell’esplosione demografica e quelli conseguenti dello sfruttamento delle risorse e degli sviluppi urbanistici, il controllo dell'informazione e, infine, la guerra che aleggia sempre (anche oggi, purtroppo) come una soluzione: “La guerra come grande afrodisiaco, copiosa fonte di adrenalina per il mondo intero, soluzione al tedio, all’Angst, alla malinconia, all'accidia, allo spleen? La guerra come immenso atto sessuale culminante in una detumescenza che non era una morte soltanto metaforica? La guerra, infine, come suprema regolatrice, ordinatrice, eliminatrice, giustificatrice della fecondità?”. Allucinante e incontrollabile nel 1962, inquietante (per la sua attualità) oggi, Il seme inquieto sarà ancora un punto di riferimento tra quarant'anni e questo è un destino che spetta soltanto ai capolavori.

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