Ci
sono libri la cui bellezza trascende lo specifico argomento trattato,
la storia, il valore della caratterizzazione dei personaggi,
l’accuratezza della documentazione e la validità dello stile. Ci
sono libri, come Il volo, che sono straordinari atti di
coraggio. Il nocciolo della questione è esplicito fin dal
sottotitolo, Le rivelazioni di un militare sulla fine dei
desaparecidos, ma non si risolve in una semplice (per quanto
doverosa) denuncia di violazione dei diritti civili, in una presa di
posizione contro il regime militare argentino (1976-1982) o in una
fredda inchiesta giornalistica. Pur contenendo tutti questi elementi
Il volo è la catarsi emotiva di due persone ambiguamente
unite da un’intervista condotta sul filo di rasoio. Da una parte,
Horacio Verbitsky, che già dopo il colpo di stato militare del 1976,
era entrato a far parte dell’agenzia clandestina ANCLA denunciava i
soprusi e le violenze dei campi di concentramento argentini.
Dall’altra, Adolfo Scilingo, capitano della marina militare e
testimone, nonché protagonista di efferati omicidi che chiamare
esecuzioni è già un eufemismo. Due opposti che si incontrano: il
giornalista per scrupolo professionale e ideale; il militare per
sgravarsi, in una tragica confessione, di quei rimorsi di coscienza
che stanno minando la sua vita. Ne scaturisce un dialogo fitto,
frammentario e risoluto: Horacio Verbitsky è lucidissimo, e, senza
timori, incalza le dichiarazioni di Adolfo Scilingo facendogli
descrivere i particolari più agghiaccianti e terribili della fine
dei desaparecidos. Il suo non è un gioco macabro, ma
un’interpretazione del giornalismo prossimo alla missione e
leggendo Il volo si capisce il suo accanimento verso i
dettagli, le sfumature, gli orari, le date. Perché il suo intento
non è soltanto quello di raccogliere le ammissioni di Adolfo
Scilingo (che ha partecipato attivamente ai voli, da cui il titolo
del libro, in cui si facevano finire in mare aperto, una volta
torturati e narcotizzati, gli oppositori saliti ancora vivi sugli
aerei) ma di ricostruire e fissare nella memoria di tutti, argentini
o meno, il dramma dei desaparecidos. E’ qui il punto, come spiega
lo stesso Horacio Verbitsky nell’introduzione, riferendosi alle
tentazioni di amnistia per i colpevoli: “Il tentativo di annullare
il passato è manifesto. Perché se non esistesse il passato, in
quella particolare forma di esistenza che è il non esserlo già, non
esisterebbe nemmeno il futuro e al futuro mancherebbe la possibilità
di proiettarsi. Senza l’assunzione/rifiuto del passato storico non
vi è spazio per il futuro”. Il volo non viene a patti con
il passato, non cerca facili soluzioni, e nemmeno compromessi, per
quello che è stato un vero e proprio genocidio, ma affronta il
dramma senza titubanze, con una precisione che può sembrare anche
cinica, ma che serve a non cadere in placidi pietismi (verso le
vittime) o in rabbiose soluzioni (verso i responsabili). Horacio
Verbitsky non espone nemmeno un’opinione, non aggiunge una riga di
morale alle dichiarazioni di Adolfo Scilingo e lascia che siano
proprio le sue parole, le parole di un complice (“Perché ho
collaborato con il silenzio. Non ho avuto il coraggio per
denunciarlo” dice lo stesso capitano di marina argentino) a mettere
a nudo tutta la criminale strategia e la sadica assiduità con cui i
militari perseguirono gli oppositori. Con ogni sorta di
giustificazione (politica, militare) o di ordine pubblico eliminarono
migliaia di giovani le cui richieste (né impossibili, né utopiche)
erano racchiuse dentro la parola libertà e a tutt’oggi restano
ancora impuniti. Il volo serve a non dimenticarlo, e a futura
memoria, per l’Argentina e per ogni altro angolo di mondo.
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