giovedì 19 ottobre 2017

Horacio Verbitsky

Ci sono libri la cui bellezza trascende lo specifico argomento trattato, la storia, il valore della caratterizzazione dei personaggi, l’accuratezza della documentazione e la validità dello stile. Ci sono libri, come Il volo, che sono straordinari atti di coraggio. Il nocciolo della questione è esplicito fin dal sottotitolo, Le rivelazioni di un militare sulla fine dei desaparecidos, ma non si risolve in una semplice (per quanto doverosa) denuncia di violazione dei diritti civili, in una presa di posizione contro il regime militare argentino (1976-1982) o in una fredda inchiesta giornalistica. Pur contenendo tutti questi elementi Il volo è la catarsi emotiva di due persone ambiguamente unite da un’intervista condotta sul filo di rasoio. Da una parte, Horacio Verbitsky, che già dopo il colpo di stato militare del 1976, era entrato a far parte dell’agenzia clandestina ANCLA denunciava i soprusi e le violenze dei campi di concentramento argentini. Dall’altra, Adolfo Scilingo, capitano della marina militare e testimone, nonché protagonista di efferati omicidi che chiamare esecuzioni è già un eufemismo. Due opposti che si incontrano: il giornalista per scrupolo professionale e ideale; il militare per sgravarsi, in una tragica confessione, di quei rimorsi di coscienza che stanno minando la sua vita. Ne scaturisce un dialogo fitto, frammentario e risoluto: Horacio Verbitsky è lucidissimo, e, senza timori, incalza le dichiarazioni di Adolfo Scilingo facendogli descrivere i particolari più agghiaccianti e terribili della fine dei desaparecidos. Il suo non è un gioco macabro, ma un’interpretazione del giornalismo prossimo alla missione e leggendo Il volo si capisce il suo accanimento verso i dettagli, le sfumature, gli orari, le date. Perché il suo intento non è soltanto quello di raccogliere le ammissioni di Adolfo Scilingo (che ha partecipato attivamente ai voli, da cui il titolo del libro, in cui si facevano finire in mare aperto, una volta torturati e narcotizzati, gli oppositori saliti ancora vivi sugli aerei) ma di ricostruire e fissare nella memoria di tutti, argentini o meno, il dramma dei desaparecidos. E’ qui il punto, come spiega lo stesso Horacio Verbitsky nell’introduzione, riferendosi alle tentazioni di amnistia per i colpevoli: “Il tentativo di annullare il passato è manifesto. Perché se non esistesse il passato, in quella particolare forma di esistenza che è il non esserlo già, non esisterebbe nemmeno il futuro e al futuro mancherebbe la possibilità di proiettarsi. Senza l’assunzione/rifiuto del passato storico non vi è spazio per il futuro”. Il volo non viene a patti con il passato, non cerca facili soluzioni, e nemmeno compromessi, per quello che è stato un vero e proprio genocidio, ma affronta il dramma senza titubanze, con una precisione che può sembrare anche cinica, ma che serve a non cadere in placidi pietismi (verso le vittime) o in rabbiose soluzioni (verso i responsabili). Horacio Verbitsky non espone nemmeno un’opinione, non aggiunge una riga di morale alle dichiarazioni di Adolfo Scilingo e lascia che siano proprio le sue parole, le parole di un complice (“Perché ho collaborato con il silenzio. Non ho avuto il coraggio per denunciarlo” dice lo stesso capitano di marina argentino) a mettere a nudo tutta la criminale strategia e la sadica assiduità con cui i militari perseguirono gli oppositori. Con ogni sorta di giustificazione (politica, militare) o di ordine pubblico eliminarono migliaia di giovani le cui richieste (né impossibili, né utopiche) erano racchiuse dentro la parola libertà e a tutt’oggi restano ancora impuniti. Il volo serve a non dimenticarlo, e a futura memoria, per l’Argentina e per ogni altro angolo di mondo.

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