martedì 31 ottobre 2017

Derek Raymond

Interni ed esterni di una famiglia aristocratica inglese negli anni sessanta: una decadenza inarrestabile che si trascina in un folle e amaro vortice di solitudine, disperazione e distruzione: anche se non è uno degli episodi della Factory, la saga per cui è diventato giustamente famoso, Atti privati in luoghi pubblici è a pieno titolo un romanzo degno della visione narrativa di Derek Raymond, che qui si applica a mondi che ha conosciuto in prima persona, ovvero quelli dell’aristocrazia e della pornografia. L’associazione autobiografica deve aver avuto un peso specifico non relativo, vista l’acidità con cui viene trasmessa dallo stesso Derek Raymond. Tutto si svolge all’ombra della Swingin’ London, un momento che, messi da parte miti e leggende, viene inquadrato così: “L’ottanta per cento della popolazione britannica stava mollo nell'ignoranza e nella miseria, nell’infelicità, nell’anno di grazia 1967, semplicemente perché il denaro non arrivava nelle loro tasche, o perché non avevano il tempo di fare buon uso di quello che guadagnavano, o le due cose insieme”. E’ quello il contesto in cui un manipolo di rampolli di buonissima famiglia si lascia andare alle deviazioni rispetto all’ipocrisia imperante, senza accorgersi di essere finiti nell’inevitabile cul de sac. Viper e Mendip si sono scelti un ramo aziendale insolito e piuttosto torbido (tengono insieme una serie di sexy shop) e, se non altro, tutto sommato almeno un senso degli affari l’hanno mantenuto. Le sorelle (e loro cugine) Lydia e Beatrice invece hanno manifestato tutto il loro dissenso verso le tradizioni, i riti e i codici della famiglia. Lydia si è dedicata alla più completa dissoluzione del corpo e della mente (“La noia, se ne rendeva conto, in lei occupava il posto di tutte le passioni. La noia era al contempo rabbia, gioia, amore, piacere dei sensi, in lei”), passando dai film pornografici alla prostituzione; Beatrice si è rinchiusa in soffitta a studiare Marx ed Engels, sommo sfregio all’aristocrazia famigliare, insieme al fatto (ancora più grave) che si degna di pranzare e cenare soltanto con la servitù. Una serie di eventi li porteranno tutti quanti (una bella compagnia, tutto sommato) nella ricca villa di famiglia. Nello scenario della bucolica campagna inglese, tra scenate irripetibili (“L’avidità era il loro comune terreno d'intesa. L’arroganza il loro comune linguaggio”), clamorosi colpi di scena e un intero catalogo di follie si consumerà, per intero, il dramma di un declino squallido, travolgente e spietato. Gli Atti privati in luoghi pubblici sono fotografati in modo molto lucido e convincente da Derek Raymond. Domina, incontrastato, il suo tratto spigoloso, tagliente che non concede nulla ai suoi personaggi se non una lunga, cupa e atroce discesa negli inferi che si sono creati. Nessun luogo comune, nessuna pietà e nessun effetto speciale: a Derek Raymond basta e avanza la sua geniale idiosincrasia verso il genere umano per arrivare fino in fondo. Senza scampo, senza via d’uscita.

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