I vicoli del Cairo in cui è ambientato Mendicanti e orgogliosi sono un microcosmo dove il tempo sembra essersi fermato. La gente che vi vive, il più delle volte di elemosina non ha alcuna pretesa al mondo, se non quella di salvaguardare quello che gli rimane della propria umanità. Con una dignità costruita giorno per giorno, con metodo e per quanto può apparire paradossale, persino con una certa disciplina (se non proprio una professionalità): “In mezzo a tante assurdità reali, il fatto di mendicare pareva un lavoro ragionevole. Occupava sempre lo stesso posto, con la stessa dignità di un impiegato dietro la scrivania”. È questo ciò che esattamente racconta Albert Cossery: le sfumature noir di Mendicanti e orgogliosi mettono a disposizione soltanto gli antefatti necessari a inoltrarsi nei brulicanti meandri del Cairo. L’entrata nel labirinto è spalancata proprio con l’assassinio di una prostituta e la relativa indagine condotta da Nour el Dine, un poliziotto che va scavando in un universo dove tutti i cosiddetti valori moderni sono esclusi, banditi, probabilmente sconosciuti da sempre. Non si tratta soltanto di mendicanti: ogni outsider trova un suo posto, quasi che vivere in quel modo, in mezzo alla strada, di stenti e di elemosine fosse una scelta esistenziale. Anzi, è proprio così: tutti i Mendicanti e orgogliosi si chiamano fuori dagli ordini costituiti e vanno fieri della loro diversità, più che della loro miseria. È ancora più chiaro nei pensieri di Gohar, il protagonista del romanzo, clochard con un nutrito bagaglio filosofico: “Si sentiva pienamente felice. Era sempre la stessa cosa: quello stupore che provava dinanzi all’assurda facilità della vita. Tutto era irrisorio e facile. Doveva solo guardarsi intorno per convincersene. La miseria brulicante che lo circondava non aveva nulla di tragico; sembrava celare in sé una misteriosa opulenza, i tesori di una ricchezza inaudita e insospettata. Una prodigiosa noncuranza sembrava presiedere al destino di quella folla: tutte le abiezioni vi assumevano un carattere d’innocenza e purezza”. Parole che suonano coraggiosamente fuori dal coro e in tempi sempre più avvinghiati alle necessità quotidiane, superfluo compreso, sembrano persino profetiche. Albert Cossery, nato al Cairo nel 1916, frequentatore della stessa Parigi di Lawrence Durell, Albert Camus e Henry Miller (una bella compagnia, senza dubbio) si premura di essere anche più preciso nella nota in fondo a Mendicanti e orgogliosi: “Per tutta la vita ho frequentato delle persone che qui chiamano marginali e che per me sono i veri aristocratici. Il mondo è una falsa realtà instaurata dai ricchi da migliaia di secoli. Quando acquistate un’auto, diventate schiavi, vi costituite prigionieri. Per me, che non ho nulla, la vita è semplice. Mi sveglio, non sono angosciato dalla mia automobile. Guardo. L’intelligenza, una volta che si è capito in che inganno si vive, è di capire che la vita è bella”. Anche in questo Mendicanti e orgogliosi non è soltanto un grande romanzo, ma una capitolo straordinario “nell’insensata avventura degli uomini”, di cui rappresenta un’apologia dell’indolenza, dell’ozio e della diversità.
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