Klaus Prima Pagina, il protagonista di Eroi come noi, è un concentrato di ossessioni esplosivo. Dalle dimensioni del suo membro al premio Nobel, non c’è pensiero quotidiano che non lo conduca a ripetersi all’infinito il suo privato mantra: “Uno come me deve diventare qualcuno un giorno o l’altro!”. L’aspirazione legittima, e per certi versi logica in qualsiasi altro angolo del mondo, è una pericolosissima deviazione della Repubblica Democratica Tedesca, il muro ancora intatto, il sistema perfettamente funzionante. Soprattutto perché Klaus Prima Pagina vuole diventare qualcuno rispettando tutte le regole della famiglia, del partito, del regime e, nello stesso tempo, senza rinunciare al suo personalissimo delirio. Sarà il fatidico 1989 a portare all’ebollizione tutte le contraddizioni, conducendo infine Klaus Prima Pagina a raccontare la storia dal suo punto di vista. All’inizio, dovrebbe essere l’autobiografia di “un testimone europeo dell’epoca”, ovvero il mezzo per arrivare al Nobel, ma poi è evidente che la scrittura è uno strumento troppo razionale (o troppo limitato) per Klaus Prima Pagina. Almeno ha il coraggio di confessare che “pienamente consapevole della mia responsabilità storica, ho già iniziato a scrivere la cronaca della mia vita, anche se devo ammettere che, in due anni, non sono andato oltre il primo capoverso”. Eroi come noi diventa quindi un lungo racconto orale, un monologo molto simile a una seduta psicanalitica, dove cadono tutte le barriere e le inibizioni, tanto da permettere a Thomas Brussig di ricostruire non soltanto la personalità e la vita di Klaus Prima Pagina, ma anche l’humus in cui è germogliata, quel sistema che lui stesso descrive così: “Non è che non avesse niente a che fare con noi. Era umano, coinvolgeva uomini qualunque, in un modo o nell’altro. Ed è di questo che dobbiamo parlare. Degli uomini qualunque. Di noi. Delle reciproche offese e umiliazioni. Dell’ignavia. Delle umane brutture. Nulla di umano mi è estraneo, neanche le umane brutture. Il sistema non era disumano. Però ostile gli uomini. Non sprezzava l’umanità, era contrario all’umanità. Sfigurava gli uomini. Li portava ad amare ciò che dovrebbero odiare”. Se è facile lasciarsi trasportare dai toni da farsa di Eroi come noi (perché Thomas Brussig, nato a Berlino Est nel 1965, un passato da fattorino, ha talento per una scrittura ritmata e tagliente), è altrettanto evidente che i suoi affondi al cuore del sistema fuggono tutti i luoghi comuni più o meno democratici. Anzi, li fanno a pezzi, quando Klaus Prima Pagina dice: “C’è in gioco più di una sola vita. Bisogna anche sacrificare la propria vita per una causa superiore. Lo fanno tutti. E quando oggi, in qualche parte del mondo, vengono ammazzati dei civili o torturati dei prigionieri politici non riesco a condividere lo sdegno. La brutalità non mi ha mai scioccato. Fucilazioni e simili erano all’ordine del giorno nel mondo, tranne che nel nostro idillio. Molti venivano uccisi, però morivano per una grande causa”. C’è una grande lucidità nel caos erotico e politico di Eroi come noi: anche lo storico crollo del muro di Berlino è narrato con un finale al vetriolo (“Credono che l’aver buttato giù un muro li santifichi per l’eternità”) in cui Brussig alias Klaus Prima Pagina sembra prendersela con tutti e tutto, e senza rispetto per niente e nessuno. Folle e spiazzante perché nello spazio di un particolare insignificante, di un refuso, di una lettera che manca, quella che fa la differenza tra eroismo ed erotismo, Eroi come noi ha il coraggio di mettere in dubbio la storia così come ci è stata raccontata.
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