A lungo il nemico pubblico numero dell’Irlanda, The General alias Martin Cahill affiancava alle sue attività criminali un continuo, ossessivo duello con le istituzioni. Il senso di quella sfida in una nazione allora poverissima e attraversata da correnti fratricide rimane oscuro. Paul Williams la chiama “la sua personale rivolta” e rende il senso di un’esistenza anarcoide: Martin Cahill resta un “fuoriclasse della malavita”, un outsider che ha potuto scorrazzare fintanto che il precario equilibrio dell’Irlanda di quegli anni lo ha permesso. Paul Williams svolge una trama puntigliosa e precisa nei riferimenti ed è molto attento a ricostruire il contesto generale e particolare (nei dettagli della vita quotidiana, nei rapporti tra i gangster, nella costruzione dei colpi, sempre rigorosa nella sua assurdità) ed è perfetto così perché The General si muoveva in un ambiente che credeva fosse la sua terra, e che invece era contesa da entità e logiche ben più complesse di quelle di una banda di rapinatori. Le dinamiche dell’Irlanda e del Regno Unito, legate dal conflitto nell’Ulster incombevano, ma finché Martin Cahill e la sua accolita di briganti si è limitata all’ordinaria amministrazione, ovvero i furti, le rapine, le estorsioni e tutte le altre attività delinquenziali di piccolo cabotaggio, The General poteva spadroneggiare sui suoi quartieri e su una bella fetta di Dublino con una certa noncuranza. Il passo falso, che nell’immaginario delle superstizioni malavitose ha preso la forma di una maledizione, è stato passare al furto di opere d’arte. Attirato dall’immenso valore (si trattava di milioni di sterline invece delle centinaia di migliaia a cui erano abituati) e dalla relativa facilità del colpo, The General mise a segno uno dei più grandi furti di quadri dell’epoca, senza tenere conto delle implicazioni internazionali, e di aver alzato il livello dello scontro. Nella ricostruzione di Paul Williams è ribadito spesso che, in tutta evidenza, The General non aveva né i contatti giusti per rivendere la refurtiva e, si intuisce, non disponeva nemmeno della cultura per gestire un’operazione così complessa. Del resto, lo stesso Martin Cahill ammetteva: “Ho fatto la scuola dell’obbligo in riformatorio, le superiori nella sezione minorile del penitenziario di St Patrick e l’università nella prigione di Mountjoy: lì mi hanno insegnato tutto quello che so”. Abbastanza per sopravvivere e controllare i marciapiedi nelle periferie di Dublino, ma non per gestire un Vermeer o un Goya, né, ancora meno, la ribalta che la natura stessa di quel furto implicava. Da quel momento The General venne messo sotto stretta sorveglianza e se la disputa con la polizia e la magistratura irlandese assunse aspetti a tratti goliardici, dal 1990 la creazione di una forza speciale antiterrorismo, e l’implicita libertà di rispondere colpo su colpo, generarono una lunga scia di sangue. Quelli che non morirono, finirono in galera, e The General si ritrovò solo, con i quadri nascosti da qualche parte sulle colline di Dublino, e con la consapevolezza che il profilo del delinquente ordinario e assiduo nel rifiutare le istituzione non era sufficiente a garantirgli di invecchiare tranquillo. Ma più che vittima dell’IRA, Martin Cahill lo sarà di un tempo ormai passato: quando il premier inglese e quello irlandese avviarono dai gradini di Downing Street la laboriosa stagione dei negoziati, il 15 dicembre 1993, The General si ritrovò all’improvviso a essere obsoleto. L’esecuzione, il 18 agosto 1994, non fece altro che sancire quella realtà. Armato solo della sua spavalderia, ormai insufficiente nel nuovo mondo che avanzava, morì a pochi passi da casa sua, in mezzo alla strada, dove aveva sempre vissuto. Il lavoro di Paul Williams è avvincente perché riesce a tenere conto di tutte le contraddizioni impersonate da The General: Robin Hood generoso e filantropo e spietato torturatore, buffone spregiudicato e paranoico incurabile, padre di famiglia morigerato e irreprensibile eppure bigamo, abile stratega nei vicoli e sprovveduto provinciale fuori dal suo piccolo, tragico mondo. Crudo, essenziale, meglio di un romanzo.
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