Nell’immaginario villaggio di Westerford, Shirley Fearn sogna di studiare per poi insegnare e progetta di trasferirsi a Taunton, nel Somerset, che invece esiste davvero ed è sede dei King’s e Queen’s College. S’intuisce che la distanza tra le due località è relativa, ma la distinzione è propiziatoria perché L’arrivo delle missive fa scintille proprio grazie all’attrito tra i riferimenti reali e gli imprevedibili riflessi di universi paralleli. Shirley è ammaliata, se non proprio innamorata, del signor Tiller, insegnante arrivato da poco a Westerford, e reduce della prima guerra mondiale. È claudicante, riservato e nasconde terribili cicatrici. Probabile che soffra, come altri soldati che tornano e non sono più loro (compreso il signor Redmore, fabbro del villaggio, e padre di Daniel, amico e poi fidanzato di Shirley), di disturbo da stress post-traumatico, che proprio in quegli anni cominciava a essere come tale. Le sofferenze gli conferiscono un’aura che nessuno ha mai visto a Westerford e Shirley ne è ipnotizzata, ma anche molto cauta: “Se solo fosse possibile controllare l’amore, lo spegnerei e lo metterei via per farne un uso più proficuo in un momento diverso”. Tra le ferite rimarginate, Tiller conserva una creatura minerale che gli ha concesso il dono della preveggenza che comunica a Shirley attraverso lettere fitte di presagi. L’elemento simbolico della pietra è rilevante nella cultura celtica (richiamata anche con i preparativi per il Calendimaggio, e la sua celebrazione, dove Shirley diventa regina per una notte): uno sciamano poteva assumere le forme di altri esseri, comprese le rocce, per manifestare le proprie facoltà divinatorie. Una sfumatura più ancestrale che fantastica, perfettamente inserita nel contesto bucolico di Westerford, dove L’arrivo delle missive in sé genera una scia di turbamenti tanto che Shirley riflette: “Forse, sul nostro cammino, si attendono tempi bui. Come idea mi sembra molto più sensata. Riesco a immaginare il terribile futuro degli ultimi superstiti della razza umana che, in preda alla disperazione, tornano indietro per rimediare a qualche terribile sbaglio che non doveva assolutamente verificarsi. Penso che in molti vorrebbero avere la capacità di correggere gli errori commessi”. Assecondando Tiller nelle sue premonizioni (in cui non è difficile intravedere il terrore di una nuova apocalisse mondiale), Shirley trova il coraggio di far valere la propria indipendenza, con un coraggio ammirevole per una giovane donna in un circondario rurale dell’età vittoriana. Quando è costretta a confessare le sue scoperte al cospetto delle principali autorità che definiscono la sua vita (suo padre e quello del futuro sposo, nonché il reverendo Mountcastle) si sente rispondere che “gli uomini tornano a casa raccontando le storie più improbabili e pensano di dovere affrontare ancora dei nemici, li vedono dappertutto. Dopo aver vissuto tempi simili, cancellarli dalla mente è impossibile”. C’è qualcosa in più, come scriveva Fredric Manning in Fino all’ultimo uomo, “c’è una forza straordinaria nella guerra, una forza che spoglia l’uomo di ogni sua copertura convenzionale, lasciandolo inesorabilmente nudo come la realtà che deve affrontare”. Il contrasto è evidente e Tiller è soltanto un (crudele) diversivo: è un altro, il conflitto latente che le sue visioni spalancano. Shirley si ribella alla bucolica esperienza nella campagna del Somerset, alle costrizioni famigliari, a un matrimonio visto più in funzione del mantenimento della fattoria e dei pascoli che di un legame affettivo, condizioni che la portano a considerare che “a quanto pare, non sempre l’amore è garanzia di felicità”. In L’arrivo delle missive Aliya Whiteley riesce a mantenere in equilibrio un originale patchwork che raduna le radici celtiche, gli effetti tragici della guerra, la riluttanza alle convenzioni e la dimensione soprannaturale con la rivelazione di Shirley, quando arriva alla conclusione che “l’amore è uno sporco lavoro, fatto di mancanze, di difficoltà, di compromessi, ma in cui ci si fa forza a vicenda perché il mondo è crudele, e sono poche le persone disposte a comportarsi correttamente con te senza pensare alle proprie esigenze personali”. È ancora così, dalla notte dei tempi, e non serve un druido per capirlo. Basta una ragazza che lancia un sasso nello stagno.
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