giovedì 17 gennaio 2019

Nick Hornby

Il personaggio di Alta fedeltà si aggrappava al rock’n’roll per non crescere, per mantenere all’infinito lo stato di ingenuità e di follia dell’adolescenza. Nick Hornby scopre 31 canzoni (ma in realtà sono molte di più) che lo aiutano a capire e a capirsi, gli permettono di tirare avanti, di coltivare una speranza. La musica, e non soltanto il rock’n’roll, serve a quello, “perché in noi c’è qualcosa che va oltre i limiti delle parole, qualcosa che si sottrae ai nostri tentativi di tirar fuori il pensiero”. Vengono in mente le parole di Do You Believe In Magic? dei Lovin’ Spoonful, quando Nick Hornby racconta (la scusa è Puff The Magic Dragon di Gregory Isaacs) quanto lega il figlio Danny (che è autistico) a certi suoni, a certe canzoni, che diventano l’unico collegamento tra lui e il mondo, padre compreso. La musica è qualcosa di più grande e importante di quello che anche noi riusciamo, a fatica, a cogliere perché le canzoni e certe vibrazioni sono snodi importanti nella nostra vita quotidiana. Con la leggerezza e l’ironia che lo distingue, Nick Hornby prova a spiegare perché, usando un campionario variegato e nello stesso tempo connotato da una certa qualità. È un percorso che, come non potrebbe essere diversamente, parte da Bruce Springsteen per spiegare le contraddizioni dei passaggi verso l’età cosiddetta adulta e la relativa, presunta maturità, ed è logica, immediata la scelta della canzone: “Forse Thunder Road mi ha aiutato perché, malgrado il suo vigore, il volume, le macchine sportive e i capelli, ha pur sempre un tono elegiaco. Più invecchio, più lo sento. In fondo, credo di essere anch’io dell’idea che se la vita è una cosa triste e molto seria, c’è sempre un po’ di speranza; sarò pure un depresso in preda al dramma esistenziale, o magari un idiota contento, ma in ogni modo Thunder Road dice esattamente come mi sento e chi sono, e questa in fin dei conti è una delle consolazioni dell’arte”. Lo schema si ripete poi su tutte le altre canzoni: raccontando i suoi legami con Hey Self Defeater di Mark Mulcahy, Nick Hornby spiega l’importanza e la necessità dei piccoli negozi, oggi minacciati dalle politiche commerciali delle grandi catene e dalla miopia dell’industria discografica in genere; ricordando la scoperta di Late For The Sky (Jackson Browne, ovviamente) ritorna sul tema dei rapporti tra uomo e donna e sullo sviluppo di queste tematiche nel pop e nel rock’n’roll; ripescando nella memoria uno show (acustico) di Patti Smith si lascia semplicemente andare alle emozioni. 31 canzoni è importante perché, come scrive Nick Hornby in occasione di Heartbreaker degli Zepp, “imparare ad apprezzare canzoni non ha a che fare con la crescita, ma con l’acquisizione di un sicuro gusto musicale e la capacità di giudicare da sé. A volte ho la sensazione che anno dopo anno mi sia stato sfregato via uno strato di chitarra ruvida, e prima o poi, spero, sarò in grado di distinguere un buon pezzo di George Jones da un brutto. Le canzoni così a nudo, senza uno straccio di Stratocaster addosso, fanno paura: le devi capire da solo”. In questo senso, 31 canzoni fornisce un canovaccio sui cui poi ognuno può costruirsi i suoi percorsi: le affinità con Nick Hornby non mancano perché uno scrittore che dedica un intero paragrafo a Born For Me di Paul Westerberg o soltanto metà a Frankie Teardrop dei Suicide, merita, oltre alla lettura, anche una medaglia. Nel mazzo vanno aggiunte anche le disquisizioni su Van Morrison (con Caravan, alla voce: la canzone che vorrei sentire al mio funerale), su The Calvary Cross di Richard & Linda Thompson, così come non potevano mancare Dylan e i Beatles o anche brani più trendy come quelli di Nelly Furtado e Soulwax. Al di là dei gusti, il merito che va riconosciuto a Nick Hornby  è quello di aver aiutato le canzoni a uscire dai dischi e a trovarsi un posto nella sua storia, che è quello che dovremmo provare a fare più o meno tutti i giorni anche noi. 31 canzoni prova a raccontare questa piccola magia, senza altre velleità, perché ci sono passioni ed emozioni che non si spiegano. Come lascia intuire Nick Hornby, si possono soltanto vivere.

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