Nella famiglia di Tom è un momento di grandi cambiamenti: stanno traslocando dalla City alla provincia ed è in arrivo un fratello che si va aggiungere alla sorella, alla madre e al padre. In un contesto già piuttosto movimentato, Tom, che si crede “la persona più strampalata al mondo”, grazie ai pruriti dell’adolescenza è sempre fuori posto, comprese le fotografie dei bambini di Beirut appesi in camera. È una condizione che gli calza a pennello, e lo trasforma nell’osservatore ideale, una posizione che, nella Zona di guerra, diventa l’epicentro di un terremoto travolgente: la storia è una spirale che comincia ad avvolgersi nell’istante in cui Tom osserva il padre in bagno con la sorella. Già traumatizzato per essere stato costretto a lasciare Londra per il bucolico Devon, Tom si sente proiettato in un’altra dimensione, ben più che escluso, dalla deformazione famigliare che ha scoperto, sbirciando da una finestra, per caso, ma nemmeno tanto. Anche per Alexander Stuart, la sensazione che prova è descrivibile soltanto in parte tanto che Tom ammette: “Sono solo io che mi sento strano, che sento come se ci fosse una festa in corso alla quale non sono stato invitato”. La shock della scoperta lo spinge a indagare e Tom si rivela un voyeur impacciato (con tanto di videocamera) e travolto dalle contingenze. Il conflitto che si è aperto nella sua mente si estende alla famiglia, a partire proprio dalla sorella, Jessica, e così il Devon diventa una Zona di guerra con Tom che caracolla in un cul de sac: “Mi sento male. Non partecipo alla vita, non è cosa che fa per me. È questa la mia continua punizione: le piante bruciate, il fatto che mia sorella non mi abbia lasciato niente, che stia consumano tutto: vita, sesso, energia, disperazione. Mi sento svuotato. Niente. Mi fanno male i piedi”. Non saprà e non potrà fermarsi, dato che l’incesto è soltanto la virgola tra causa ed effetto e lui si sente truffato: “Sto parlando di onestà. E, se vai a vedere bene, l’onestà, la vita senza le menzogne, senza il velo protettivo del comportamento comunemente accettato, è maledettamente pericolosa”. È proprio una Zona di guerra, e le sorprese non mancano, fino alla fine. Dal punto di vista stilistico, la scrittura è esiziale: Alexander Stuart punta tutto sull’ambigua natura dei suoi protagonisti, sugli eccessi e sulla forma grezza del loro linguaggio, e la trama, per quanto rocambolesca, avvinghia il lettore. Una possibile interpretazione potrebbe vedere Zona di guerra come un’estrapolazione di Fatto in casa di Ian McEwan, il racconto che inaugurava la prima raccolta Primo amore, ultimi riti, per non dire delle affinità ballardiane con La fabbrica delle vespe di Iain Banks, nel solco delle deviazioni nell’era della Thatcher. Di sicuro Zona di guerra sa riprendere una realtà decadente, dove l’esercizio erotico e sessuale viene svolto comunque tra le rovine, in mezzo alla spazzatura, al massimo su un pavimento. Tom, protagonista con la turbolenta Jessica o Jessie e, non a caso, voce narrante di Zona di guerra funge da indicatore del livello di guardia raggiunto dalla povertà di sentimenti, e mostra un gran coraggio ad ammettere che “la verità è più grande di tutto il resto, se ne infischia delle regole. Puoi stabilire quante regole vuoi, poi ti ritrovi sempre nel bel mezzo di quel freddo oceano”. Una miseria evocata attraverso la scarna, cruda, vivida esposizione di un linguaggio non mediato dalla scrittura. La narrazione vive di questa tensione e, fino alla beffa finale (perfetta) ricrea un limbo pericoloso dove i rapporti (all’interno dello status famigliare, o meno) vengono risolti dall’arma verbale, anche nei momenti (e non mancano) dove l’azione si fa più violenta. In questo Zona di guerra mischia le carte: se in apparenza è il romanzo di un’iniziazione (quella di Tom), sotto la superficie si nasconde un atto propiziatorio, tanto per i protagonisti quanto per i lettori, indicato per conoscere la parte oscura, malata e perversa dell’amore. Quella Zona di guerra dove la battaglia non finisce mai, perché “o c’è la bellezza o l’oscurità, non le due insieme”, e non ci sono né vincitori né vinti, ma soltanto vittime.
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