Jack Parlabane, il reporter d’assalto dai metodi poco ortodossi già protagonista di Un mattino da cani si ritrova coinvolto, suo malgrado, in un complotto oscuro e spietato. Un magnate dei mass media (“Solo un uomo d’affari morto, talmente impegnato a farsi pubblicità da sé che, dopo la sua scomparsa, non c’era nessuno a soffiare nelle trombe per lui. A conti fatti, non era un gigante, e la storia lo avrebbe rimpicciolito ogni giorno di più”) massacrato con la moglie e le guardie del corpo, una banda di ladruncoli presa come capro espiatorio, servizi segreti che tramano nell’ombra e soprattutto l’opinione pubblica da controllare, manipolare, illudere (“L’incredulità nasceva come reazione al continuo gridare al lupo. Il pubblico era talmente desensibilizzato dalle iperboli usate per riferire gli avvenimenti più tediosi, e dalle esagerazioni che consentivano di distorcere o decontestualizzare la frase più innocua per creare sensazione dove non c’era nemmeno una storia, che quando accadeva qualcosa di veramente notevole non era più in grado di affrontarlo. I media, dopo aver privato di significato ogni superlativo con l’abuso e lo strauso, non avevano più un vocabolario capace di trasmettere un vero impatto”). Con il ritmo di un thriller, Il paese della menzogna aggiunge un nuovo capitolo alle teorie della cospirazione (Don DeLillo insegna) con una lunga teoria di personaggi picareschi che imperversano tra le righe e soprattutto percorrendo le stesse atmosfere fosche e minacciose dei romanzi di Iain M. Banks, probabilmente il capostipite dei narratori scozzesi dell’ultima ora. C’è più di un punto di contatto tra Il paese della menzogna e il suo Complicità, in particolare, quell’attitudine a vedere e leggere il noir come una sorta di laboratorio sociale, un filtro utile a decifrare la realtà sempre più incontrollabile, sempre più feroce che ci circonda. La caparbietà, e l’incoscienza, di Jack Parlabane viene illustrata da Christopher Brookmyre con dialoghi serrati e sincopati, spruzzati con un velo di comicità irriverente e con un tono generale caustico e senza fronzoli. Perfetto per coinvolgere il lettore nell’idea che esiste sempre un ulteriore livello, nascosto e potente, in grado di condizionare la storia e dunque, come dice Jack Parlabane, “bisogna stare molto attenti a ciò che si desidera”. Forse c’è qualche lungaggine di troppo, ma Il paese della menzogna offre un punto d’osservazione spietato sul mondo moderno, che si condensa nella constatazione che “di solito tutto diventava più reale alla luce del giorno, quando ti svegliavi e scoprivi di non aver sognato la notizia e, cosa più importante, ti rendevi conto che il mondo non si era fermato e che, al di là dell’essere costretto a tenerti aggiornato sulle interminabili discussioni, la faccenda non avrebbe influito sulla tua vita”. La sovrapposizione tra vero e falso è il nucleo di un colossale buco nero e non solo tanto in Scozia o in Inghilterra: a guardarlo (e leggerlo) bene Il paese della menzogna di Christopher Brookmyre potrebbe trovarsi benissimo anche qui da noi.
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